
Era notte, l’autobus correva veloce, sembrava un’astronave che volava e si introduceva sempre più nelle viscere della montagna di rifiuti che ricopriva ogni piccolo pezzo di terra.
Avvolta nella tristezza per ciò che vedevo, mi sentivo sprofondare nel fango che sommergeva l’umanità impotente.
L’autobus attraversò quel tunnel di rifiuti, e pochi metri dopo si fermò dove sembrava esserci la stazione di un piccolo villaggio coperto dalla nebbia: erano gli effluvi sprigionati dalle montagne di rifiuti prodotti dalle grandi città e poi buttati nelle povere comunità di donne sole, prigioniere dell’ipocrita perbenismo della società.
Notai che un gruppo di turisti viaggiava con me sullo stesso autobus, ma appena giunti alla stazione prendemmo strade diverse: loro andavano all’oasi confortevole, costruita apposta per chi considera la povertà solo un’attrazione turistica. La voce squillante della guida rompeva il silenzio della gente umile, piegata su sè stessa, che lavorava.
Sentìi il mio corpo accarezzato da una luce calda, guardai verso il sole, i suoi raggi danzavano nello splendore mente scioglieva la nebbia che contaminava la povera gente del villaggio.
Grida e risate: erano i turisti scesi dall’autobus che trovavano divertente la fatica delle donne costrette a vestirsi da uomo per non essere molestate. Un nodo mi strinse il cuore e pensai: è dolorosa l’indifferenza di coloro che non hanno mai sofferto l’ingiustizia!
Nel villaggio la maggioranza degli abitanti erano donne: gli uomini erano stati uccisi da altri uomini, che avevano risparmiato solo i vecchi, le donne e le bambine, diventate un’attrazione per un fiorente turismo sessuale, l’unico contatto umano che le donne del villaggio avevano con tutti quelli che venivano dalle città.
Le donne erano prigioniere di una cultura maschile degenerata, schiave del sesso nel mercato che si espandeva senza ritegno né pietà.
Ero impotente, camminavo a passo sentendo sulle spalle tutta la sofferenza inflitta all’umanità: ero in una piccola via di terra battuta, lungo la quale si vedevano delle piccole porte: erano le povere case, sembravano grotte, dove le donne si radunavano la sera in gruppi, per meglio difendersi nel caso che qualche turista ubriaco decidesse di tentare di usargli violenza. Mentre camminavo distratta, riflettevo su quelle donne sole, tenute in scacco dalla miseria umana che si annida nell’anima della maggioranza degli uomini. Senza accorgermene ero arrivata su una ripida salita che costeggiava l’unica montagna vera, ancora incontaminata dall’inquinamento e dai rifiuti, che i turisti si portavano nel cuore.
Senza fatica, come se un’energia mi stesse spingendo in avanti, raggiunsi la vetta, e da lassù, come per magia, ho potuto osservare il villaggio com’era prima, un’oasi di pace dove regnava l’armonia tra le anime e gli animali: era sublime!
Restai allibita dai colori che si riflettevano in ogni cosa, così vibranti da trasformarsi in note musicali che disperdevano per l’aria un inno celestiale.
Mi fermai sul ciglio del burrone, avvolta da un alone di beatitudine, e mentre la brezza leggera mi spingeva oltre, come un’aquila spiccai il volo e mi andai a posare sul ramo di una sequoia.
Seduta sul ramo, accanto c’era una donna curva, sembrava dormire. La riconobbi subito: era la stessa che avevo visto un giorno, all’alba, mentre con i miei genitori attraversavo un bosco. Lei apparve in un raggio folgorante di luce che illuminò tutto intorno, e da allora – avevo appena compiuto sette anni – la cercavo, affinchè mi spiegasse su quale sentiero dovevo camminare.
Come se ascoltasse i miei pensieri si girò verso di me, e con voce soave disse: “Da anni sono qui che ti aspetto. Ti vedevo barcollare tra il buio e le sofferenze, ma non potevo intervenire: era il tuo percorso e solo tu potevi trovare la chiave che potesse darti la risposta. Ora posso dirti che sei pronta per le sfide che dovrai affrontare nel mondo.”
Detto questo, la vidi sparire piano nella luce del sole, diventando essa stessa un raggio di sole!
Cadde il silenzio. Riuscivo ad ascoltare solo l’echeggiare della fonte, la nenia del vento e il respiro dell’universo che si fondeva con il mio, mentre scedevo adagio per raggiungere il villaggio triste: ma era scomparso, come gli effluvi e le montagne di rifiuti. Solo allora capìi di essere in un’altra dimensione, in una città illuminata da luce mistica e calda, dove il silenzio sconfina oltre la quiete, dove le anime si muovono come il vento e si comunica solo attraverso la forza del pensiero.
Ero felice, mi sentivo leggera, in pace.
All’improvviso precipitai nell’assordante caos della materia, tra relitti umani, rumori e aria inquinata sulla terra asfissiata.